Ordinanza n. 154 del 2022

ORDINANZA N. 154

ANNO 2022

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito delle sentenze dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato numeri 17 (R.G. A.P. n. 14/2021) e 18 (R.G. A.P. n. 13/2021) del 9 novembre 2021, promosso da Riccardo Zucconi, nella qualità di deputato, e altri con ricorso depositato in cancelleria il 25 gennaio 2022, iscritto al n. 3 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2022, fase di ammissibilità.

Udita nella camera di consiglio del 25 maggio 2022 la Giudice relatrice Daria de Pretis;

deliberato nella camera di consiglio del 25 maggio 2022.

Ritenuto che, con ricorso depositato il 25 gennaio 2022, Riccardo Zucconi e altri sei deputati hanno sollevato un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato contro il Consiglio di Stato, in persona del Presidente pro tempore;

che i ricorrenti chiedono la «disapplicazione, in tutto o in parte», delle sentenze dell’Adunanza plenaria n. 17 e n. 18 del 9 novembre 2021, riguardanti la proroga legislativa delle concessioni balneari, per la «lesione […] della potestà normativa spettante ai parlamentari nella parte in cui enunciano i […] principi di diritto» indicati nel punto 51 di entrambe le pronunce (e riportati nel ricorso), «nonché nella parte in cui dettano disposizioni vincolanti e limitanti per il legislatore con particolare riferimento ai paragrafi da 47 a 49 delle sentenze» (riportati nel ricorso);

che l’Adunanza plenaria ha pronunciato le due sentenze oggetto del conflitto a seguito del decreto n. 160 del 24 maggio 2021, con cui il Presidente del Consiglio di Stato aveva deferito ad essa la trattazione di due ricorsi in appello, ai sensi dell’art. 99, comma 2, dell’Allegato 1 (codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), sottoponendole tre questioni di diritto, la prima delle quali relativa alla sussistenza o meno del dovere di disapplicazione delle leggi statali o regionali che prevedono proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni balneari;

che il primo principio di diritto fissato dall’Adunanza plenaria nelle contestate sentenze riguarda il dovere dei giudici e della pubblica amministrazione di disapplicare le «norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative», cioè l’art. 1, commi 682 e 683, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), e l’art. 182, comma 2, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, nella legge 17 luglio 2020, n. 77, in quanto contrastanti con l’art. 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, che vieta le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro, e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, che richiede una «selezione tra diversi candidati» qualora «il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili», e vieta «la procedura di rinnovo automatico»;

che, con il secondo principio di diritto, l’Adunanza plenaria ha sancito l’insussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo agli attuali concessionari anche qualora siano intervenuti atti amministrativi di proroga, senza che rispetto a questi ultimi sia necessario attivare i poteri di autotutela della pubblica amministrazione, «in quanto l’effetto di cui si discute e` direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata», ragion per cui la non applicazione della legge implica che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non essent;

che, con il terzo principio di diritto, l’Adunanza plenaria ha statuito quanto segue: «[a]l fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.»;

che, nei paragrafi 47-48 delle sentenze, a loro volta contestati con il ricorso, l’Adunanza plenaria illustra le ragioni per le quali, «a fronte di un quadro di incertezza normativa», ritiene necessario «modulare gli effetti temporali della propria decisione», osservando che «[l]a deroga alla retroattività trova fondamento nel principio di certezza del diritto»;

che, nel paragrafo 49, l’Adunanza plenaria si esprime sui «principi che dovranno ispirare lo svolgimento delle gare, ferma restando la discrezionalità del legislatore nell’approntare la normativa di riordino del settore»;

che i ricorrenti riepilogano il quadro normativo vigente in tema di concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, ricordando le precedenti leggi statali di proroga, e richiamano la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea 14 luglio 2016, in cause C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa, e la citata legge n. 145 del 2018, che ha disposto la proroga delle concessioni demaniali marittime per ulteriori 15 anni, cioè fino al 2033 (art. 1, commi 682 e 683);

che, nel punto 1 del ricorso, i sette deputati, quanto all’ammissibilità dello stesso, argomentano a sostegno della loro legittimazione, dichiarando di essere tutti membri del gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia e di agire «congiuntamente e disgiuntamente nella loro qualità di parlamentari». In tale veste e quali rappresentanti della Nazione ai sensi dell’art. 67 della Costituzione, essi affermano il loro diritto di «attuare il procedimento legislativo […] sia attraverso la presentazione di progetti di legge ed emendamenti (art. 71 Cost.) sia mediante l’esame dei progetti di legge presentati nelle commissioni e in aula (art. 72 Cost.)»;

che, secondo i ricorrenti, la lesione delle loro prerogative deriverebbe: a) dall’«individuazione del termine di validità delle concessioni in essere»; b) dalla «delimitazione delle […] regole per le future procedure di gara cui assoggettare le concessioni demaniali marittime»; c) dall’«impedimento al legislatore di legiferare in modo difforme dal sentenziato», nonostante «gli spazi di operatività che […] anche il legislatore comunitario ha doverosamente inteso lasciare al Parlamento italiano»;

che i ricorrenti riferiscono di aver presentato un progetto di legge in materia di concessioni demaniali marittime (n. 652, depositato presso la Camera il 22 maggio 2018) e osservano che, se esso venisse approvato, sarebbe «automaticamente destinato alla disapplicazione in quanto difforme rispetto agli indirizzi interpretativi del Consiglio di Stato»;

che, nel punto 2 del ricorso, si lamenta la violazione degli artt. 101, 103 e 111, settimo e ottavo comma, Cost. (e l’«eccesso di potere nell’esercizio delle competenze ex art. 99 D. Lgs. n. 104/2010»), in quanto l’Adunanza plenaria sarebbe andata al di là delle proprie funzioni di nomofilachia, introducendo nuove norme sostitutive della legislazione vigente;

che, nel punto 3 del ricorso, si lamenta la violazione dell’«art. 71 Cost. in rapporto all’art. 117 Cost. – Eccesso di potere», poiché, nonostante quanto ritenuto dal Consiglio di Stato, il legislatore avrebbe rispettato il diritto europeo, «che riserva al legislatore nazionale la possibilità di modulare le proprie normative per garantire le esigenze nazionali da un lato e il bilanciamento degli assetti di interessi dall’altro»;

che, nel punto 4 del ricorso, si lamenta la violazione degli «artt. 67 e 71 Cost. – esercizio di prerogative di competenza dei membri del Parlamento», in relazione alle affermazioni dell’Adunanza plenaria riguardanti la diretta applicabilità dell’art. 12 della direttiva 2006/123/CE, il concetto di «scarsità delle risorse naturali» di cui al citato art. 12, paragrafo 1, il concetto di «interesse transfrontaliero certo» rilevante ai fini dell’art. 49 TFUE e il legittimo affidamento dei concessionari uscenti;

che, infine, nel punto 5 del ricorso si lamenta la violazione dell’«art. 11 Cost. con riferimento agli artt. 101 e 111 Cost. e alle competenze ex art. 99 D. Lgs. n. 104/2010», ritenendosi che il Consiglio di Stato abbia introdotto «regole più stringenti rispetto a quelle […] previste dallo stesso ordinamento comunitario».

Considerato che Riccardo Zucconi e altri sei deputati hanno sollevato un conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato contro il Consiglio di Stato, in persona del Presidente pro tempore;

che i ricorrenti chiedono la «disapplicazione, in tutto o in parte», delle sentenze dell’Adunanza plenaria n. 17 e n. 18 del 9 novembre 2021, riguardanti la proroga legislativa delle concessioni balneari, per la «lesione […] della potestà normativa spettante ai parlamentari nella parte in cui enunciano i […] principi di diritto» indicati nel punto 51 di entrambe le pronunce (e riportati nel ricorso), «nonché nella parte in cui dettano disposizioni vincolanti e limitanti per il legislatore con particolare riferimento ai paragrafi da 47 a 49 delle sentenze» (riportati nel ricorso);

che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata a deliberare, in camera di consiglio e senza contraddittorio, sulla sussistenza dei requisiti soggettivo e oggettivo prescritti dall’art. 37, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), ossia a decidere se il conflitto insorga tra organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono e per la delimitazione della sfera di attribuzioni delineata per i vari poteri da norme costituzionali;

che questa Corte, con l’ordinanza n. 17 del 2019, ha riconosciuto, quanto al profilo soggettivo, l’esistenza di una sfera di prerogative del singolo parlamentare, diverse e distinte da quelle che spettano all’assemblea di cui fa parte – prerogative che, qualora risultino lese da altri organi parlamentari, possono essere difese con lo strumento del ricorso per conflitto di attribuzioni fra poteri dello Stato – e ha precisato, altresì, che si tratta delle «attribuzioni inerenti al diritto di parola, di proposta e di voto, […] da esercitare in modo autonomo e indipendente, non rimuovibili né modificabili a iniziativa di altro organo parlamentare»;

che, invece, per la tutela delle prerogative che spettano all’assemblea nel suo complesso la legittimazione a sollevare un conflitto compete a ciascuna Camera (ordinanze n. 188 e n. 186 del 2021, n. 129 del 2020 e n. 17 del 2019);

che, in base all’art. 70 Cost., «[l]a funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere», unici «organi competenti a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartengono» (art. 37 della legge n. 87 del 1953), essendo ogni Camera, e solo ogni Camera, idonea a dire “l’ultima parola” nell’esercizio della funzione legislativa;

che, dunque, nella sua parte principale – che censura il carattere “legislativo” delle sentenze dell’Adunanza plenaria e il loro effetto condizionante la futura attività parlamentare – il ricorso è inammissibile perché con esso i singoli parlamentari fanno valere una prerogativa che spetta, in realtà, alla Camera di appartenenza;

che in più casi questa Corte ha dichiarato l’inammissibilità di conflitti sollevati da singoli parlamentari, escludendo che essi potessero rappresentare l’intero organo di appartenenza (ordinanze n. 80 del 2022 e n. 277 del 2017) o osservando che la funzione rivendicata spettava alla Camera o al Senato (ordinanze n. 255, n. 67 e n. 66 del 2021, n. 129 del 2020 e n. 163 del 2018);

che, in tre passaggi del ricorso, i sette deputati lamentano la menomazione delle loro prerogative in quanto singoli parlamentari, affermando, in primo luogo, che ad essi sarebbe preclusa qualsiasi iniziativa che possa condurre ad una regolazione della materia diversa da quella imposta dall’Adunanza plenaria, richiamando poi le prerogative previste dagli artt. 67, 71 e 72 Cost. e osservando, infine, che, se venisse approvato il disegno di legge n. 652, depositato dagli stessi ricorrenti presso la Camera il 22 maggio 2018, sarebbe «automaticamente destinato alla disapplicazione in quanto difforme rispetto agli indirizzi interpretativi del Consiglio di Stato»;

che, in realtà, anche in tali punti il ricorso denuncia il condizionamento che deriverebbe dalle due sentenze contestate a carico della funzione legislativa delle Camere, e non di prerogative del tipo di quelle che questa Corte ritiene segnatamente riconosciute ai singoli parlamentari, con conseguente inammissibilità delle censure, per quanto sopra già osservato;

che, comunque, se anche si volessero ritenere effettivamente invocate prerogative spettanti ai parlamentari individualmente considerati, il ricorso sarebbe inammissibile perché non dà conto di alcun ostacolo all’esercizio del diritto di parola, proposta e voto dei deputati, attestando, anzi, l’avvenuto deposito di un disegno di legge e prospettando la possibilità della sua approvazione, sicché non risulta allegata né comprovata «una sostanziale negazione o un’evidente menomazione» delle loro prerogative costituzionali (ordinanze n. 193, n. 67 e n. 66 del 2021, n. 60 del 2020, n. 275, n. 274 e n. 17 del 2019);

che, per tali ragioni, il ricorso per conflitto di attribuzioni va dichiarato inammissibile.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato indicato in epigrafe, proposto da Riccardo Zucconi e altri sei deputati nei confronti del Consiglio di Stato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 maggio 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Daria de PRETIS, Redattrice

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2022.